Seguo tante donne in terapia e mi è sempre più chiara una cosa:
noi donne siamo in aperta lotta contro la nostra parte più morbida, ricettiva, accogliente e -per usare un termine molto scomodo- “tradizionale”.
Abbiamo dovuto combattere contro un sistema fortemente maschile che ci riservava il posto di fanciulle da salvare, perfette donnine di casa senza troppe aspirazioni o intelletto, figure accomodanti, vergini sacrificali di tempi e spazi propri a favore del benessere degli altri.
Tutto questo ha comportato lo spegnimento interno di parti importanti necessarie all’affermazione del proprio se, alla consapevolezza dei propri bisogni ed emozioni, alla possibilità di esprimere ambizioni e sicurezza nel proprio essere e nel saper fare.
Abbiamo fortificato e poi negato.
Abbiamo sentito che l’unico modo per essere finalmente riconosciute è la lotta, la sovversione bellissima che senza consapevolezza e amore di ogni parte, peró, altro non è che amputazione. È dire, ancora, “stai zitta!”.
Oggi noi genitori siamo attenti a promuovere orgogliosamente con le nostre figlie la mitologia e l’iconografia delle bambine ribelli e sovversive sperando di spingerle a non accontentarsi, ad essere sicure e prendere e pretendere dalla vita ciò che più desiderano: nulla è loro precluso per natura, ma lo è solo per cultura ed educazione.
L’intento è bellissimo ma il rischio è dietro l’angolo.
Sostenere un femminile impavido, coraggioso, ribelle, indomito e soprattutto vincente, può significare la creazione di un nuovo stereotipo femminile che si oppone con forza a quello tradizionale, ma che genera — in ogni caso- vincoli e prigioni risultando opprimente e chiuso al pari di quelli da cui desiderava emanciparsi.
Conosco famiglie in cui le donne hanno sempre comandato, in silenzio, senza prendere la scena e facendo attenzione a non ferire il maschile e il suo orgoglioso potere.
Sono donne che hanno ingoiato la rabbia e anche la stanchezza. Hanno insegnato alle loro figlie e poi alle loro nipoti che la dignità di una donna si poggia sul fatto di non dipendere mai- in nessun momento e per nessuna ragione- da un uomo e che quel che più conta è realizzarsi sul lavoro, emanciparsi ed essere libere.
Cosa succede, però, se sentiamo di non potere assecondare sempre E comunque quel comandamento? Se sentiamo il bisogno di altro? Se sentiamo il bisogno?
Ricordo i versi finali di un testo in cui una donna raccontava di non essere riuscita ad assecondare quell’eredità, quell’ostentazione impudica di forza e determinazione. La disobbedienza, la rivoluzione autentica e vera stava nella possibilità di abitare comodamente la propria fragilità e impotenza.
✨✨✨✨
<<Allora iniziai a rispondere con accondiscendenza. “Sì, va bene, come vuoi”.
Questa per me era libertà>>